lunedì 28 settembre 2009

Con la legge Gelmini la ricerca è in mutande

Giorno 8 gennaio 2009, il decreto a firma Maria Stella Gelmini è divenuto legge. Il procedimento di formazione di questo provvedimento, però, è viziato in origine, infatti lo strumento del decreto legge è previsto dalla Costituzione quale mezzo straordinario da utilizzare in caso di necessità o urgenza. In questi casi il Governo, titolare del potere esecutivo, esercita un potere non suo, quello legislativo di cui è titolare esclusivo il Parlamento, unico organo costituzionale eletto direttamente dal popolo. Mancando i presupposti di necessità o urgenza, i vari decreti Gelmini-Tremonti non potevano neanche essere promulgati.

La legge Gelmini rappresenta un durissimo colpo alla ricerca scientifica, con la liquidazione di un’intera generazione di ricercatori. Un vero olocausto di migliaia e migliaia di persone.

I ricercatori in Italia sono circa 70mila fra pubblico e privato. Oltre la metà di questi è precario.

Il decreto 133 ha tagliato con l’accetta il finanziamento pubblico di un miliardo e mezzo, ha chiuso il già risicato rubinetto delle stabilizzazioni e ha scritto la parola fine sui contratti flessibili.

In queste condizioni, come potrà continuare e reggersi la ricerca scientifica? Nonostante i bassi finanziamenti (tra i paesi dell’Ocse, l’Italia è ultima per investimenti nell’università sia rispetto il Pil che rispetto alla spesa pubblica nazionale) finora si erano mantenuti livelli di eccellenza, ma adesso?

Al danno si aggiunge pure la beffa del trasferimento di finanziamenti specifici dagli enti di ricerca alla operazione-propaganda riguardante l’Ici.

Il Ministro non ha inteso ascoltare i ricercatori, probabilmente la parte più sana dell’Università. In più la legge istituzionalizza la figura del ricercatore a tempo determinato.

I dati recentemente diffusi dal Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca, dimostrano l’aumento del divario tra il livello qualitativo delle Università del Nord e quelle del Sud.

Diciamo basta a queste politiche miopi che non recepiscono la ricerca scientifica come vero volano per l’economia italiana.

Diciamo basta agli Atenei del Meridione sempre in fondo alle graduatorie.


Movimento Studentesco “CittadellainLotta”

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